martedì 4 dicembre 2012

Una risposta doverosa a Michela Murgia


Ho letto con sorpresa e perplessità l'articolo di Michela Murgia su Liberos dal titolo alquanto drastico "Perché diciamo no agli autori di narrativa self published".
Le sue argomentazioni sono serie, importanti. Si parla di etica. Perché Liberos è un sito in cui tutti possono iscriversi, tranne i narratori selfpublisher.
Parto dal sottolineare che Michela Murgia, come molti, accomuna in un'unico fasio le erbe buone e quelle meno buone (non ci sono erbe cattive tra gli scrittori, a mio avviso). Perché è luogo comune pensare che gli autori che si autopubblicano sono i reietti dell'editoria e che sfruttino questi luoghi solo per farsi promozione e raggiungere il lettore, ambendo comunque ad essere "scoperti" dall'editoria classica.

Non più di quattro giorni fa si è svolto a Roma il secondo evento degli "Scrittori sperduti nell'isola che non c'è", nel quale si è affrontato proprio questo problema: come fa uno scrittore selfpublisher ad essere credibile e riconoscibile? La domanda alla quale abbiamo cercato di dare una risposta con assoluto spirito di autocritica riguardava questo (cit) "Gli scrittori che si autopubblicano sono davvero tanti ormai e, col fenomeno del selfpublishing questa Democrazia Culturale rischia di diventare anarchia. Allora? Allora bisogna acquisire credibilità se si vuol essere identificati come scrittori. Perché diciamocelo chiaramente, nessuno, neppure chi viene pubblicato da una casa editrice, almeno in principio, scrive per arricchirsi. Ciò che ci muove è un'esigenza imprescindibile, dobbiamo comunicare a tutti ciò che abbiamo da dire, nel nostro modo, e possiamo farlo solo scrivendo. E essere identificati come scrittori è ciò che realmente ci appaga. "

L'attenzione al lettore è massima, proprio perché ci si rende conto dei pregiudizi (molti ancora confondono il selfpublisher con l'EAP) e della sfiducia in un sistema che premia solo chi può investire di più.
Ma i lettori, come Michela Murgia ad esempio, magari non sanno che molti selfpublisher hanno scelto questo strumento perché delusi dall'editoria tradizionale, che non li ha respinti, ma li ha considerati come mero meccanismo per incassare soldi. Il tuo libro può vendere? Allora lo pubblico. E fioriscono fenomeni editoriali come le barzellette di Totti o lo stupidario del momento. Ottime scelte, letteratura e cultura all'ennesima potenza. Poi ci sono i contratti editoriali che vincolano l'autore per 10 anni (contratto standard) e che compensano con un misero 7% sui diritti d'autore. E questo tipo di contratto lo applicano sia le grandi case editrici che le start up. E impongono copertine, editing molto spesso discutibili, distribuzione altilenante e nessuna promozione per l'autore. Uno scrittore selfpublisher sceglie la libertà di decidere quando, come, dove a quale prezzo e con quale vestito pubblicare e divulgare il suo libro. E sceglie di tenersi il 100% dei suoi diritti d'autore, perché è lui, l'autore.

Certo, ci sono molti scrittori di narrativa che approfittano di situazioni come Liberos a loro esclusivo vantaggio. Allora facciamo da filtro, scegliamo strumenti di garanzia, ma, per cortesia, non generalizziamo.
Stanno nascendo movimenti culturali che vogliono regolamentare il fenomeno, che vogliono far sì che quella selezione naturale che prima o poi arriva sempre, giunga prima. E questo sarà un bene, per gli scrittori e per i lettori in primo luogo. Il sogno di avere una casa editrice che proponga un contratto, in questo momento storico, deriva proprio dal fatto che siti come Liberos applicano censure come queste. E allora ricorrere all'editoria tradizionale risulta ancora essere l'unica garanzia possibile per il lettore. Ma non è così. Le cose stanno cambiando. E eventi come quelli di Roma, di cui invito a leggere gli abstract qui e qui o come la Selfpublishing School che il 18 dicembre terrà un evento all'Università di Parma organizzato da Mauro Sandrini, ne sono la dimostrazione. Servono a fare il punto della situazione, a spiegare, a capire, perché neppure a noi scrittori di narrativa piace l'anarchia culturale, ma vorremmo che la democrazia esistesse anche tra i lettori.

Sed

4 commenti:

  1. Aggiungerei che ci sono molti autori indipendenti che non sono neppure interessati a far parte dell'editoria tradizionale, proprio perché perseguono l'idea di essere indipendenti. Non sono stati rifiutati da essa, bensì sono stati loro a rifiutarla, perché non la ritengono in grado di offrire loro ciò che cercano.

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  2. Esatto Rita, proprio come gli Indie nella musica. Ma è vero, non è facile essere identificati in mezzo a tutti i selfpublisher che ci sono e se nessuno ci dà la possibilità di uscir fuori. Non c'è ipocrisia nell'essere felici, se accade, di firmare un contratto con una casa editrice. In un paese così garantista, dove ancora si crede a ciò che c'è di istituzionale come a babbo Natale, a volte per realizzare il sogno di essere letti sul serio non si ha altra scelta.

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  3. C'e' un certo snobismo nel dare per scontato che chi pubblica con un editore tradizionale, deve aver per forza scritto un buon libro, mentre chi pubblica da se', deve aver scritto robaccia. Questa premessa di per se' e' errata, e non corrisponde alla verita'.

    Quindi cade tutto il discorso per il quale Liberos decide di non accettare gli autori indie, in quanto privo di fondamenta solide.

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    1. Hai colto nel segno, Martina. Io aggiungo anche che c'è una certa "paura" di noi indipendenti, che, a differenza dei pubblicati da editori, siamo certi che il nostro prossimo libro giungerà ai lettori, perché non dobbiamo rendere conto della linea editoriale di nessun altro che noi stessi e non rischiamo che il nostro editore ci scarichi per qualcun altro che vende di più (e magari scrive peggio). Questo perché noi non solo siamo autori, ma siamo anche editori.

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