domenica 11 novembre 2012

Se dobbiamo fare critica, siamo seri...

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Quanti scrittori ci sono in questo momento solo in Italia? Tanti, forse troppi. E cosa li definisce “scrittori”? Tempo fa ne ho parlato in un articolo in cui facevo il confronto tra il narratore e il letterato. La differenza, l’incoronazione la fa il pubblico, il lettore. E fin qui credo siamo tutti d’accordo. C’è però l’elemento chiave: il talento. Questo lo si annusa, lo si percepisce, se gli si dà la possibilità di emergere.
Questo mio articolo nasce da una riflessione fatta dopo un commento al primo capitolo del mio secondo romanzo. Il commento non era bello, ma ci sta, nel senso che non si può certo piacere a tutti (vivaddio!). Ciò che notavo però, man mano che la pseudo critica andava avanti con le relative repliche, era la ripetitività delle argomentazioni. E allora ho capito. 

E’ necessario a questo punto parlare delle scuole di scrittura. Sia chiaro, io non ho nulla contro questi validissimi consessi (la scuola Holden è un fulgido esempio), ma ritengo che creino degli automatismi per cui, se si è fuori da quegli schemi, fuori dai dictat che vengono lì promulgati, non si è scrittori. E’ vero, ci sono tecniche di scrittura, ci sono parametri funzionali al libro e ad attirare l’attenzione del lettore (questo è marketing), ci sono incipit che funzionano meglio di altri…ce ne sono di cose… ma la passione, la capacità evocativa, la tua particolarissima cifra, non si possono insegnare, quelli o li hai o non li hai. E quando poi si esce fuori da qualunque schema, come si fa a giudicare? Ma soprattutto, chi può farlo? Davvero qualcuno si sente in grado di affermare che un romanzo non vale nulla perché non ha il giusto incipit, quello che acchiappa? Quale superficialità. Ma questo è quanto accade quando si è incanalati in una manualistica, seppur ben fatta, ma sempre di manuale si tratta.

Penso ai cantanti. Quanti di loro nascono con doti incredibili, non solo di intonazione, ma interpretative, comunicative, un dono nativo che spesso viene rovinato irrimediabilmente dalle scuole di canto. Io ci sono stata in una scuola di canto, di quelle classiche. Alla fine del corso i cantanti sembrano tanti cloni.

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Il rischio che in una scuola di scrittura si producano cloni c’è, ma poiché chi le conduce spesso è lungimirante e ha dalla sua il fiuto del talent scout, voglio sperare che si prendano i dovuti accorgimenti.

Non molto tempo fa ho letto un libricino di Cerami, sulla scrittura creativa. Ecco, questo grande, dopo aver dato suggerimenti, consigli, tecniche, esercitazioni, dice (non testualmente): Ora dimenticate tutto e cominciate a scrivere.  E’ solo lì che il talento emerge, quando non si fa condizionare dalle regole e dalle mode. Il talento è andare controcorrente con coraggio e perseveranza, è esprimersi per come si è, per quello che si ha da dire. Si può correggere un errore di ortografia e di sintassi, anzi, si deve. Ma uno stile, un linguaggio, un pensiero, sono unici e irripetibili, uguali a nessuno. Può solo piacere o non piacere, di pancia, di cuore. Distinguiamo gli scrittori dai mestieranti, per carità, e insegniamo ai lettori a vedere la differenza. Andiamo oltre il marketing e la promozione, che servono, ma che non possono, non devono essere il motore della nostra arte.

Ci saranno polemiche a questo articolo, già lo so, e ben vengano se faranno emergere quel malcontento sommerso che però serpeggia, nel mondo di chi scrive e nel mondo di chi legge. Può, deve esserci un mondo in cui ci si possa incontrare. Criticare con saggezza, con cognizione di causa, questa è serietà. Uscire fuori dagli schemi e andare oltre. Questa è lungimiranza. Annusare la polpa, la sostanza e assaggiarla. Questa è curiosità. Questo serve. Il resto lo farà il tempo. Tanto le bufale usciranno fuori, la selezione sarà naturale…
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 Sed

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