domenica 28 ottobre 2012

Gli scrittori hanno un male incurabile


Me lo sono chiesta più volte, specie ultimamente. Cos'è questa smania, perché di questo si tratta, che mi prende di notte, ma anche la mattina presto ormai, per cui se non apro il mio notebook quasi mi manca l'aria? Ho anche scoperto il fantastico blocknotes dell'IPhone, così posso annotare al volo pensieri e emozioni ovunque mi trovo, in qualunque momento. Persino in bagno...
E' un mare incurabile, lo so, e per fortuna, o per disdetta dei tanti lettori, non sono l'unica ad esserne affetta. Il "mal di scrivere" in genere si accompagna al "mal di leggere", patologia ancor più grave se si pensa che può cominciare in tenera età, più o meno all'epoca della scolarizzazione, e che difficilmente abbandona il malcapitato, quale che sia la cura adottata. Con l'avvento degli ebook poi (droga legalizzata e debitamente testata da abili pusher sul mercato dell'editoria) ci si trova praticamente davanti a un'autentica pandemìa. Una pandemìa di lettori e di scrittori. 

Ma...che meraviglia. Vivere in un mondo dove nessuno vuol guarire è qualcosa di autenticamente unico, e stavolta non vale il detto "mal comune mezzo gaudio" perché il gaudio è intero, totale, assoluto.
In ogni caso questa nuova droga chiamata ebook mi ha conquistata, tanto che ho imparato a fabbricarmela in casa. Stanno nascendo tra le mie pareti piccole coltivazioni spontanee di libri digitali e la velocità con la quale riesco a produrli dimostra che tale tecnica non è poi così complessa. Certo, nulla a che fare con le mega produzioni dei colossi del settore, però...una certa soddisfazione nell'annusare quelle parole virtuali c'è, ve lo confesso.

E allora ho deciso che fosse giunta l'ora di pubblicare uno dei miei primi "esperimenti" letterari. In pratica la prova del momento in cui la malattia ha cominciato a manifestarsi. Una piccolissima raccolta delle mie poesie e aforismi (ne ho scritte forse duecento da che ho memoria, questa è una selezione tematica). Da qualche parte ho scritto che ho cominciato così, perché pur volendo cimentarmi con un romanzo, non ne avevo il tempo o la pazienza. Visto cosa accade a seguire le proprie inclinazioni? Genitori, siete avvisati. Se vedete vostro figlio perso, con la testa tra le nuvole, lo sguardo fisso davanti a sè, chiuso per ore in bagno o nella sua camera, beh, cominciate a preoccuparvi. Probabilmente sta cominciando a scrivere, e da lì non si torna più indietro.
La raccolta la potete trovare gratuitamente fino a lunedì sullo store di Amazon qui. Poi dovrete acquistarla.

Sed

domenica 14 ottobre 2012

Le parole splendono nei discorsi di Aloe



Io non mi occupo spesso di recensioni, pur essendo una lettrice e una scrittrice. Trovo sempre difficile commentare ciò che qualcuno ha scritto in onestà e sincerità, anche se partecipo a salotti letterari, dibattiti sui social e presentazioni di nuove opere. Perché a volte mi è difficile trovarli quei due attributi indispensabili per me, e allora mi defilo, oppure non leggo, tutto qui. Ma di recente ho scoperto (meglio tardi che mai dirà qualcuno…) Giuseppe Aloe, finalista per l’edizione 2012 del Premio Strega con La logica del desiderio (Giulio Perrone Editore) e l’ho scoperto attraverso la lettura di un suo libro precedente: “Lo splendore dei discorsi”.

Voglio cominciare col dire che non racconterò il romanzo, lascio il piacere di scoprirlo al lettore. Voglio raccontare cosa mi ha trasmesso, citandone solo alcune tematiche, è inevitabile. 

Aloe affronta il dolore, quello di una perdita, da un punto di vista nuovo, quello della “schadenfreude” pulsione verso il male altrui. Quindi non rassegnazione, non rabbia, non disperazione, ma una reazione che segue l’istinto umano più profondo, e per questo più vero. Quando ci sentiamo responsabili del nostro dolore,  non lo possiamo accettare. La pulsione verso il male è come una condivisione. Io soffro ma non sono colpevole, quindi devo condividere questa sofferenza, devo vederla riflessa in qualcun'altro. Una sorta di esorcismo. E per questo il protagonista diventa un killer. Ma non c'è superficialità nel suo uccidere, non c'è freddezza. Solo lo stupore dell'accorgersi che concentrarsi sulla costruzione di un omicidio lo può distrarre.

Ora, il racconto scorre fluido, leggero, quasi che il linguaggio intenzionalmente “aereo”, come lo definisce Cappelli, serva a togliere peso alle vicende narrate, che di peso ne hanno, eccome.  L’uso superbo del dialogo indiretto e diretto rende tutto più distante, come se Aloe volesse farci percepire, attraverso lo stile narrativo, quello stesso mondo ovattato del protagonista, un’atmosfera velata attraverso la quale sbirciare le altrui nefandezze, per non riconoscerci, per non ritrovarci. Ma ci sono, convivono in noi, assieme al bene c’è sempre la sua antitesi, anima bianca e anima nera che, per un’improvvisa mancanza del cuore possono sovrapporsi e annullarsi, lasciando emergere le pulsioni, distorsioni della melodia che però è là, c’è sempre, pronta a riemergere.

E a farla riemergere è lo splendore dei discorsi leggeri, quelle chiacchiere amene che a volte non hanno uno scopo, un perché, ma che sono senz’altro la testimonianza di un’umanità semplice e viva, presente. E sono quei discorsi che riportano il protagonista a una realtà armoniosa, che rappresentano per lui la risposta all’angosciante perché del suo destino  ormai compiuto. I discorsi che si fanno in treno (si facevano), tra sconosciuti, come racconto in un mio recente articolo qui, o quelli delle sale d’aspetto. Il chiacchiericcio  degli anziani ai giardinetti durante una partita a carte, o quelli di una signora gentile che ci prende per mano, ci fa accomodare e ci offre un caffè. Pause, momenti colorati, luminosi appunto, che possono rischiarare il buio che avvolge un’anima perduta nel suo lato oscuro.

Aloe mi ha commossa con questo libro, e so che continuerà a farlo, perché ha un linguaggio speciale, senza “fronzoli”, che arriva diretto al cuore e non ne esce, non lo lascia più.

Lo splendore dei discorsi - Romanzo
Autore: Giuseppe Aloe
Editore: Giulio Perrone Editore
Pubblicazione: Giugno 2010
Prezzo: € 15,00
ISBN: 978-88-6004-159-3

Sed
 

giovedì 11 ottobre 2012

LETTERA A UNA PAROLA NON DETTA

Ho raccolto l'invito della padrona di casa del Salotto Letterario di Tempo x me, un invito particolare legato al prossimo libro in lettura, Tutti tranne Giulia di Michela Tilli (Ed. Fernandel). Si trattava di scrivere una lettera, come la protagonista, e io l'ho fatto. Ma il mio destinatario non è un uomo, un amico, una persona cara. Ho scritto una lettera a un'amica...



"Ciao.
Ti ho cercata ieri, inutilmente. Eri scomparsa. A volte sei così invadente, capiti lì a sproposito e ti prendi tutto lo spazio, tutto il tempo. Poi quando la tua presenza diviene necessaria ti neghi così, quasi a dispetto. Eppure ti sarebbe piaciuto partecipare, magari per affondare la lama lì dove fa più male, al momento giusto, o per sedare gentilmente  l’ardore coi tuoi toni pacati, quando vuoi, come sai. Mi sei mancata, si.

E non puoi dire che ti ho sempre usata, abusata, gestita a mio piacimento, a seconda delle circostanze. Non la merito questa accusa. Ti ho tenuta con me, in verità, per compiacimento tuo, non mio. Come fanno in molti  d'altronde, non sono l’unica. Funziona così, da sempre. Poi ci sono anche quelli che approfittano della situazione, ti imbellettano come una prostituta da bordello e ti esibiscono al pubblico plaudente che non sa, non vuol sapere, cosa si cela sotto quella maschera ben costruita.

Io invece lo conosco il tuo potere, e lo rispetto, per questo cerco sempre di trattarti bene, di farti sentire a tuo agio con me. Ricordo sempre quei momenti in cui mi sei venuta in soccorso, sul più bello, con un consiglio dosato o, magari, con una frecciatina. A volte ti ho dovuta frenare, altre ti ho lasciata libera di esprimerti, perché è così, tu non ti rendi conto, ma la tua sostanza può provocare disastri se non sei ben dosata, puoi essere come uno tsunami, e da lì poi è difficile tornare indietro.

Ieri invece non c’eri. Ieri che avevo bisogno di te ho avuto solo il silenzio a farmi compagnia. Tutto era trattenuto dentro di me, le sensazioni, le emozioni, il dolore, e non riuscivo a esprimermi. Avrei voluto gridare, per una volta ti avrei lasciata andare libera dalle catene della mia coscienza, del comune senso del pudore, della decenza. Mi hai tradito ieri, amica cara, sei arrivata in ritardo, hai fatto la signora, mi hai fatto dono solo dell’ultima parola. Ma va bene così, io ti perdono, non metto certo in discussione la nostra solida amicizia per così poco. Ci rifaremo, vedrai, anzi, lo stiamo già facendo, in questo preciso istante: io ti scrivo e tu…esisti."
Sed


domenica 7 ottobre 2012

NOI SCRITTORI INDIE NEL FANTASTICO MONDO DELL'EDITORIA



Per una serie di circostanze che non sto qui a spiegare mi trovo da un po’ di tempo a parlare di editoria. E di come promuoversi in questo mondo vasto e sconosciuto ai più.
Sui social network, soprattutto su Facebook in verità, sono nati gruppi di ascolto e condivisione nell’ambito dei libri che neppure nella musica, forse, ce n’è così tanto. Eppure parliamo di cultura. Ma un motivo forse c’è. Il motivo è che nell’ambito musicale sono più avanti, hanno già superato le forche caudine dell’innovazione tecnologica e ormai da un po’ stanno affrontando il difficile tema del “come essere visibili e diventare musicisti di successo”. E le sperimentazioni sono le più diverse, tutto un movimento sta crescendo per promuovere la musica indipendente (da cui Indie, che è lo stesso nome di un Life Style, ma in questo caso vuol dire altro), per potersi affrancare dalle major discografiche dove non c’è posto per il singolo artista, ma solo per il “pezzo” che fa cassetta, e poi giù, nello scarico nero del dimenticatoio.
Immagine presa da qui

Ecco, la stessa cosa sta accadendo ora nell’ambito dell’editoria. Almeno qui in Italia, perché nel resto del mondo questa Rivoluzione culturale è già cominciata da un po’. Dall’avvento di Amazon in poi è stato tutto un proliferare di piattaforme di distribuzione, print on demand, creazione di ebook per l’editoria digitale, tutto per il selfpublishing, tutto per  minare lo strapotere delle grandi case editrici. Ma siamo in Italia… Tornando ai gruppi d’ascolto di cui parlavo prima, quando ci si incontra sul web la situazione che più di tutte viene dibattuta è: ma la tua campagna su Amazon funziona? I libri si vendono? Discorsi da autori Indie…E dico Amazon per nominare il più noto, ma posso citare Lulu, Narcissus, Youcanprint, e via dicendo, la lista è davvero enorme. Purtroppo i numeri che vengon fuori non sono edificanti, e allora giù a darsi consigli sulle campagne promozionali da adottare, sui prezzi da abbassare, sulle strategie di social marketing da seguire…Non c’è molto di più da fare, e lo dico in assoluta buona fede. Siamo sempre in Italia e lo scossone da dare a questa dittatura del “marchio” deve essere davvero grande, potente, per vederne i suoi benefici effetti. E intanto le grandi major dell’editoria si affacciano al nuovo che avanza con prodotti ibridi, selfpublishing a pagamento, controllo dei diritti d’autore, sigilli di sicurezza per gli ebook con i DRM. Per averne il controllo, per non perdere il potere. Sia ben chiaro, io non ho nulla contro le case editrici, anzi, sarei ben lieta che mi pubblicassero un libro, ma come arrivare a loro? Come convincerli a leggere un manoscritto di una perfetta sconosciuta per giudicare almeno se è buono o no? Ci sono le piccole e medie case editrici, magari indipendenti anch’esse, che sono aperte ai nuovi autori, ma talmente oberate da manoscritti da leggere e con una concorrenza così spietata da parte di chi ha il controllo della distribuzione che, se si ha fortuna, si rischia di venir presi in considerazione dopo anni.

Pensiamo poi al fatto che ci sono piattaforme di distribuzione online per gli ebook che dedicano settori appositi per il “self” quasi fosse un ghetto neppure tanto privilegiato, una vetrina nel retrobottega giusto per far vedere quanto si è liberali e innovativi, tant’è che il lettore neppure gli dà una sbirciatina, “tanto è roba di serie B”…

Rileggevo oggi alcuni brani di LawrenceLessig, il creatore di Creative Commons e autore di “The Ethics of the Free Culture Movement”, una sorta di manifesto per la circolazione libera della cultura attraverso il web, e non solo. Lui è un sostenitore convinto della liberalizzazione dei diritti d’autore ed è convinto che anche le case editrici possono trarre vantaggio dall’avvento di un sistema del genere, ben codificato, perché la libera circolazione di un libro, gratuita,  può addirittura incrementare le tirature.
Lawrence Lessig


Si potrebbe fare così quindi. Scrivere il nostro bel libro, pubblicarlo utilizzando Creative Commons per tutelarci, venderlo gratis e, una volta raggiunta la giusta dose di notorietà, presentare il nostro curriculum a una grande casa editrice per essere pubblicati con la “griffe”. E cosa avremmo concluso? Queste case editrici investono sul prodotto/libro, non sul bene/libro, che è un’altra cosa se ci pensate bene, è l’inizio di una storia, di un percorso culturale, di idee e pensieri da condividere liberamente perché qualcuno un giorno le ha partorite e, magari, dico magari, ci piacciono proprio quelle idee lì. E allora il lettore la vorrebbe ripetere l’esperienza, perché è l’autore che gli piace, non solo l’oggetto che gli hanno pubblicato.

E allora, cosa stiamo aspettando? Come vogliamo attuare questa Rivoluzione per una Cultura libera e accessibile? Come vogliamo far uscire allo scoperto quel meraviglioso mondo sommerso di opere scritte e mai lette, di scrittori Indie e creativi? Potremmo ad esempio dichiarare un ebook day, un giorno in cui tutti, ma proprio tutti sui social, facendo un semplice click acquistano a 0,99 cent l’ebook di un amico, di un conoscente, di qualcuno che si autopubblica, una sorta di FlashMob editoriale che paralizzi per un istante lungo ventiquattro ore il Sancta Sanctorum dell’editoria. Chissà che non si sveglino anche loro…
Sed

sabato 6 ottobre 2012

DISCOVERING MYSELF


Ho fatto un viaggio da sola quest'anno. Serve a volte, aiuta a scoprire la nostra capacita' di superare i nostri limiti, le nostre incertezze. Si perché non l'ho fatto in Italia questo viaggio. Sono andata in Messico. I luoghi mi erano già noti, eh beh, un piccolo aiutino d'incoraggiamento dovevo pur darmelo. Ma la spinta emozionale, quella era un'incognita. Come avrei reagito ai miei silenzi, ai miei tentativi di capire una lingua non mia e di farmi capire, al mio guardare ogni giorno allo specchio la mia faccia, solo quella, ai pasti solitari al ristorante? In realtà ciò che più mi premeva era scoprire se ero in grado di conoscere, di avvicinare la gente. Quello era il mio limite, in quello dovevo trovare il coraggio. 
Una donna sola in Messico non corre particolari rischi, specie nello Yucatàn, e allora ho deciso che sarei andata ovunque i miei piedi mi avrebbero portata, seguendo l'istinto, annusando l'aria del mattino per saggiarne la consistenza, come i marinai che assaggiano il vento per la giusta rotta. E così ho scovato un caffè gestito da ragazzi toscani, dove riunirsi con altri italiani trapiantati era d'obbligo dopo pranzo, per due chiacchiere, sostegno, sapore di casa. 

Poi ho trovato il Mamita, che di messicano non ha nulla, ma che ha una spiaggia meravigliosa e serve un Margarita da sogno, in riva al mare, mentre il sole piano piano scivola in acqua, così grande e rosso che pare di poterlo toccare. 
E poi ho incontrato Innocenza. E questa storia sta diventando un libro, ispirato a lei e a quello che ha saputo darmi nella semplicità di tante chiacchiere da passeggio.
 Sed

giovedì 4 ottobre 2012

Il treno come la vita, un discorso leggero...


Immagine presa da qui

Il treno ha sempre avuto la capacità di suscitare in me emozioni contrastanti. Mia madre mi racconta quando da bambina, sfollata in campagna per la guerra, percorreva chilometri di sentieri impervi col fratello maggiore per arrivare fino al mare, all’alba, e vederlo passare. E quando si fermava a quella piccola stazione in mezzo al nulla era tutto un turbinio di scambi commerciali e di notizie, di fretta, con l’urgenza di sapere e concludere prima che il macchinista fischiasse che era ora di rimettersi in viaggio. E i due bambini restavano lì, a vederlo andar via sferragliando, con la sensazione che in quel treno fosse racchiuso il segreto del loro futuro incerto. Anni dopo ne avrebbero preso uno che li avrebbe portati verso il loro destino da adulti, ma in quel momento i loro sogni piccoli volavano sulle ali di una fantasia libera e sfrenata.

Io ne ho presi e ne ho visti di treni. Quello che mi riportava a casa per le vacanze durante gli studi universitari era il più bello, e non per la destinazione, ma per il percorso. Si viaggiava di notte e, a volte, ci volevano dodici ora per andare da Roma fino a Cirò, ma erano ore d’avventura e silenzi, ore di chiacchiere sottovoce e d’incontri, quegli incontri tra sconosciuti dove le anime e i cuori si aprono, tanto è solo per quella volta, e poi chissà…Che è quello che succede nella vita poi, un viaggio che per un breve o lungo tratto facciamo in compagnia, regalandoci emozioni libere da impegni e per questo più vere. Almeno così dovrebbe essere.

Ho visto un treno a Cuba, nella regione di Santa Clara, fermo in mezzo al nulla dai tempi della Revolution. Lo fermò Che Guevara e da allora sta lì, a testimoniare eventi che hanno cambiato il corso della storia e della vita di un intero Paese. Non riesco a guardarlo più di tanto quando ci vado, non riesco a salirci come fanno tutti quei turisti pseudo giapponesi armati di macchina fotografica, per fotografare cosa poi. C’è odore di morte là dentro, c’è ancora il colore e il rumore violento della battaglia. Ci vuole rispetto.
Treno a Santa Clara. Immagine presa da qui


Poi ricordo mio padre. L’unica volta in cui mi diede un consiglio per la mia vita lo fece dicendomi: “ Questo treno potrebbe non passare più. Se per te è quello giusto, prendilo al volo e vedi dove ti porta, non chiedertelo prima, che rischi di perderlo.” E questo è ciò che mi dico ogni volta che mi trovo davanti a una scelta. Poi decido che, comunque sia, il viaggio vale sempre la pena.

I treni di oggi vanno veloci. I paesaggi li vedi sfrecciare via dal finestrino, macchie confuse di colore dove non distingui il cielo dal mare a volte, arcobaleni sfocati come se un bimbo dispettoso ci avesse messo sopra le dita pasticciandoci un po’. Nel silenzio ovattato di vagoni che odorano sempre di sigaretta, anche se non si può fumare, le persone neppure si guardano. Quasi tutti col loro netbook, IPad, tablet, IPhone a conversare con un mondo lontano mentre magari il mondo vicino, che è lì, sul sedile accanto, ne avrebbe di cose da raccontare, scambi di storie e di emozioni irripetibili, un’occasione unica di arricchimento che si perde, per sempre. A volte dimentichiamo che la vita è fatta anche di questo, cogliere al volo momenti leggeri e lasciar fuori le pene e gli affanni di ogni giorno, quelli che rendono indelebile il solco profondo che abbiamo sulla fronte, sopra il naso. Su un treno si potrebbe, se andasse più piano, se ci concedesse più tempo, quello di una volta. O forse siamo noi che dobbiamo concedercelo questo tempo.

Ho letto da poco un romanzo bellissimo, dove il succo alla fine è questo. La vita che ci sottrae ogni giorno un po’ del nostro sentire più lieve, appesantendolo con la quotidianità ostile, anche crudele, dolorosa, può essere ricondotta ad una più vera e terrena umanità se ci riappropriamo dei discorsi sussurrati e leggeri, come quelli dei treni. Il romanzo è Lo splendore dei discorsi e l’autore è GiuseppeAloe. L’editore illuminato è Giulio Perrone Editore e io li ringrazio.

Sed