domenica 30 settembre 2012

Sulla felicità e altri discorsi...


Immagine presa da qui


Sono cresciuta nella convinzione che la felicità non esiste, è un’utopia, un vano cercare che, se sei davvero molto fortunato, trovi per un fuggevole attimo e poi più nulla. La parola stessa “felicità” scatenava risate di scherno, spallucce di compassione. “Illusa…sempre in cerca della felicità. Anziché pensare ad affrontare la vita di ogni giorno ti arrabatti inseguendo i sogni impossibili. Pensa ad essere serena, a costruirti un futuro solido, e se ci riuscirai potrai ritenerti soddisfatta.” Eppure tutte le persone cosiddette serene, a sentir loro, continuavano a portarsi appresso uno sguardo cupo, triste, e io continuavo a chiedermi perché dovevo accontentarmi di tanto poco. 

Ho scoperto di essere stata felice molte volte nella mia vita, e di averlo nascosto, quasi vergognandomi. L’ho scoperto perché avevo la misura di quel sentire quando ero infelice. Si, perché l’infelicità la conoscono bene tutti, ci si crogiolano anche, se ne fanno un vanto, a volte nei discorsi pare quasi ci sia una gara a chi è più infelice. Com’è il detto? “Mal comune, mezzo gaudio”. Ma se la contropartita all’infelicità è quella mezza serenità triste e taciturna, come puoi dire di essere infelice? No, in realtà non puoi.

E allora sarò una pazza, una sognatrice, ma è un mio diritto essere felice. Importante è sapere dove cercare. Non posso pretendere che la felicità mi sia portata, come un dono, come un premio per aver intrapreso l’avventura della ricerca. E’ dentro di me che si trova, basta avere la forza, il coraggio e il desiderio di andarla a prendere. E’ lì, nelle piccole cose che mi danno emozione, nel percepire il bello e non il brutto, nell’ascoltare il buono che mi pervade quando mi sveglio al mattino e piove, o c’è il sole, non importa, è un nuovo giorno e sono lì a raccoglierlo. E’ l’energia che arriva di ritorno e che si espande da dentro a fuori e viceversa, e bisogna solo lasciarla fluire. E’ sorridere quando sei bloccato nel traffico perché tanto questa cosa non la puoi cambiare ma se te la prendi a male questa cosa può cambiare te. La felicità è il coraggio di disporre se stessi in un’altra prospettiva, di abbandonare la sicurezza del certo per l’avventura della vita, che è una sola e abbiamo il dovere di viverla senza rimpianti. Abbiamo il dovere di innalzarci dalle nostre meschinità quotidiane e diventare migliori. Ed essere felici.

Sto leggendo un libro di WilhemReich, Ascolta, piccolo uomo. Ho pianto leggendo queste parole perché vi ho ritrovato le mie.

“Implori dalla vita la tua felicità, tuttavia la sicurezza, anche se ti costerà la spina dorsale, anzi l’intera tua vita, ti appare più importante di essa. Non avendo mai imparato a raccogliere felicità, a goderla e a difenderla, non conosci il coraggio dell’impavido.”

Sed

martedì 25 settembre 2012

UN EBOOK PER L'ETERNITA'

Non sono impazzita, no, e la mia non è una "conversione" di tendenza. Come nostalgica classicista e conservatrice vintage non scambierò mai l'odore della carta con quello dei pixel, il paragone neppure si può fare. Ma un ebook è un ebook, ed è per sempre. Pensateci un po'. Non occupa spazio, lo puoi portare ovunque e in qualunque momento, lo puoi leggere praticamente su qualunque supporto, anche sullo smartphone, non si deteriora, quindi dura per sempre. E dura per sempre anche perché lo puoi aggiornare, ampliare, modificare, man mano che il tempo passa, man mano che l'innovazione innova. Quindi Colui che ritorna, che è la somma di "intrecci temporali" con uno sguardo al futuro è perfetto per questo mio primo ebook. Lo faccio girare con Bookolico che è un team di ragazzi con base a Torino incubati presso il Treatabit (incubatore di progetti digitali facente parte dell'I3P del Politecnico di Torino).

Uscirà giovedì, per l'esattezza il 27 Settembre 2012. Data importante quindi. E potrete andare sul sito di Bookolico e comprarlo. Quindi, chi non ha ancora avuto modo di acquistarlo di carta ha quest'altra opportunità.

Tornando per un momento al discorso dell'ebook per l'eternità, c'è un altro progetto, mio stavolta. L'ebook da visita. Ve lo racconto qui sul mio nuovissimo sito che si chiama LIBER-A, dove potrete trovare anche il mio ebook da visita (in formato PDF per ora. Stiamo lavorando per far accettare al sito un formato .PUB)

Beh, per ora è tutto. Torno a scrivere....

Sed

martedì 18 settembre 2012

CONSULTANDO BAGLIORI D'ESTATE

Manca davvero poco, due giorni o giù di lì, e questa estate 2012 chiuderà i battenti. Cosa porteremo con noi di tanto sole, di tanto calore, di tanta leggera gaiezza nei giorni avari di luce che verranno? Io voglio "consultarla" la mia estate, voglio trasferire in questo mondo virtuale ciò che di reale ho ricevuto, perché vi rimanga impresso per sempre.
C'è stata Cetteide. I momenti topici con mia madre li potete rileggere a partire da qui .


E poi il mio servizio fotografico, con Filomena, Silvia e Antonella, un'autentico momento di "gossip" al Lido Eden.


 
E i ragazzi dell'Eden che ogni notte, fino all'alba, ci hanno tenuto compagnia. E il falò del mio compleanno, e questa cosa assurda chiamata "planking" nella quale mi hanno coinvolta.

E poi c'è stato l'evento del 13 agosto, la presentazione di Colui che ritorna, preannunciata da un articolo di giornale, sul Quotidiano di Calabria
E' stata una serata bellissima al Lilius Cafè, e devo ringraziare ancora Antonio Luigi Ruggiero e suo figlio Nicodemo per l'ospitalità, il Maestro Elio Malena per la sua suggestiva lettura, il prof. Giacomo Barbalace per la presentazione e i commenti, il Sindaco di Cirò Marina Roberto Siciliani per la gradita presenza, la professoressa Siciliani, che alle superiori mi ha fatto apprezzare la letteratura e la storia e che è quindi la prima "responsabile" del fatto che scrivo, e Francesco Martino che ha curato la regia dell'evento. E ringrazio tutti quelli che sono intervenuti. Grazie, davvero.
Io e la Prof. Siciliani



Io, il Sindaco, Antonio Luigi Ruggiero, Elio Malena, Giacomo Barbalace
Io e Maria Cristina Ruberto
E l'articolo sul giornale con la mia intervista, per terminare in bellezza
Questa estate è stata particolare per gli incontri che ho avuto, che mi hanno arricchita, mi hanno coinvolta, mi hanno fatto pensare che la realtà può essere fatta di cose semplici e odorose di buono, perché il buono è vero anche se virtuale, anche se non si vede, non si tocca, basta sapere che c'è. E l'energia che ti pervade non si spegne come la luce, con un interruttore. E' qualcosa che ti resta dentro, a farti compagnia quando sei solo, per ritrovarla dentro di te, per ritrovarti, per assaggiarne ancora il sapore piccante, ancora una volta e vederne i bagliori lontani, come i falò sulla spiaggia.
Ho scritto molto, per due mesi, e i risultati si vedranno presto. Mi piace l'idea di essere circondata di parole, quelle giuste, quelle desuete, anche quelle sbagliate, perché no, purché sincere. E' questo che ama chi scrive.
Adesso finisce la mia "consultazione", un breve escursus nel passato recente, un'occhiata, per esser certa che tutto sia lì, al posto giusto, dove io l'ho collocato: nel lato sinistro del petto.
Ciao estate 2012.
Sed



lunedì 17 settembre 2012

da "Innocenza, che mi insegnò la vita"

Un volo perfetto

Un piccolissimo "assaggio" da una cosa che sto scrivendo. Dedicato a tutti, donne e uomini.


- E com'è la relazione perfetta? Come lo capisci che è quella, quella dalla quale non andresti mai via? -
- Relazione perfetta? Ma quale perfetta. La perfezione non esiste, specie in amore, nei rapporti. Quello che è perfetto per te lo è solo per te, appunto, e quindi già il rapporto è imperfetto, sbilanciato. E poi, pure per te, quella perfezione dura un attimo - 
- Come dura un attimo? Siamo così volubili? - 
- Anche. Ma la realtà è che quando riesci a vivere quel momento sublime, dove tutto coincide, lo senti perfetto. Ma è un attimo appunto. Subito dopo cominci già a trovargli qualche difetto, e addio perfezione. E poi, diciamo le cose come stanno, se tutto fosse sempre così perfetto, sai che noia? -

Sed

martedì 11 settembre 2012

SONO UNA NARRATRICE COMPULSIVA


Sono una narratrice compulsiva. Nel senso che devo scrivere ogni qualvolta ne sento la necessità, e questa necessita' e' ormai diventato un bisogno impellente. Ma ho detto narratrice, il che vuol dire che racconto storie. Mi sono chiesta se il mio scopo fosse solo quello di raccontarle oppure anche quello di dire qualcosa, lasciare un messaggio, tracciare un solco tematico di pensiero ripercorribile anche in senso inverso, magari in un futuro remoto. Eh, che cosa complicata ho scritto. In pratica e' ciò che hanno fatto i letterati che abbiamo studiato più o meno tutti sui banchi di scuola. Leopardi, Verga, Montale, per citarne alcuni, hanno seguito il loro pensiero, hanno espresso la loro personalissima visione del mondo, della vita, della storia, e per questo noi li ricordiamo, li studiamo. Loro hanno lasciato una traccia perenne di se, e per questo sono stati definiti letterati. O forse all'inizio erano anch'essi narratori? Cosa o chi definisce la differenza? Forse i lettori.

Io, quando mi trovo davanti un foglio bianco, comincio a raccontare. Non so dove mi porterà la storia, ne se ci sara' una morale, un significato più o meno recondito, un pensiero illuminante. Ascolto i personaggi e li faccio parlare, la trama me la dettano loro, io scelgo il linguaggio. Alla fine, solo alla fine riesco a capire "dove" la storia voleva andare a parare. Finche' la narro mi lascio solo trasportare. E poiché non e' come a scuola, quando ti davano un tema e tu lo svolgevi con un inizio, un corpo e un finale, ma il titolo te lo dava qualcuno lì pronto a giudicare, poiché non e' un articolo di cronaca dove si pesca dalla realtà cercando di darle un senso accettabile per tutti, ma qui si tratta del lavoro di mente e cuore nell'attimo sublime in cui si esprimono all'unisono, liberi da vincoli di sorta, allora la storia che si narra un senso ce l'ha, ed e' quello personalissimo di chi la scrive. Forse allora anche i narratori fanno letteratura, se a guidare la loro mano e' un profondo sentire e il linguaggio che si utilizza non e' altro che lo strumento che li fa individuare, che li rende riconoscibili. Eccola un'altra differenza, quella che il lettore coglie. Lo stile e' come la "classe", o ce l'hai o non ce l'hai. Si riconoscono subito i mesterianti. Lo stile e' unico e prezioso, e' il biglietto da visita del talento, e non s'impara. E allora saranno i posteri a stabilire quando un narratore diventa un letterato ma, se manca il talento, lo scrittore non esiste. Io, che sono una narratrice compulsiva, continuo a scrivere storie, le affido al vostro giudizio di lettori e umilmente ringrazio e attendo.

Sed

SONO UNA NARRATRICE COMPULSIVA


Sono una narratrice compulsiva. Nel senso che devo scrivere ogni qualvolta ne sento la necessità, e questa necessita' e' ormai diventato un bisogno impellente. Ma ho detto narratrice, il che vuol dire che racconto storie. Mi sono chiesta se il mio scopo fosse solo quello di raccontarle oppure anche quello di dire qualcosa, lasciare un messaggio, tracciare un solco tematico di pensiero ripercorribile anche in senso inverso, magari in un futuro remoto. Eh, che cosa complicata ho scritto. In pratica e' ciò che hanno fatto i letterati che abbiamo studiato più o meno tutti sui banchi di scuola. Leopardi, Verga, Montale, per citarne alcuni, hanno seguito il loro pensiero, hanno espresso la loro personalissima visione del mondo, della vita, della storia, e per questo noi li ricordiamo, li studiamo. Loro hanno lasciato una traccia perenne di se, e per questo sono stati definiti letterati. O forse all'inizio erano anch'essi narratori? Cosa o chi definisce la differenza? Forse i lettori.

Io, quando mi trovo davanti un foglio bianco, comincio a raccontare. Non so dove mi porterà la storia, ne se ci sara' una morale, un significato più o meno recondito, un pensiero illuminante. Ascolto i personaggi e li faccio parlare, la trama me la dettano loro, io scelgo il linguaggio. Alla fine, solo alla fine riesco a capire "dove" la storia voleva andare a parare. Finche' la narro mi lascio solo trasportare. E poiché non e' come a scuola, quando ti davano un tema e tu lo svolgevi con un inizio, un corpo e un finale, ma il titolo te lo dava qualcuno lì pronto a giudicare, poiché non e' un articolo di cronaca dove si pesca dalla realtà cercando di darle un senso accettabile per tutti, ma qui si tratta del lavoro di mente e cuore nell'attimo sublime in cui si esprimono all'unisono, liberi da vincoli di sorta, allora la storia che si narra un senso ce l'ha, ed e' quello personalissimo di chi la scrive. Forse allora anche i narratori fanno letteratura, se a guidare la loro mano e' un profondo sentire e il linguaggio che si utilizza non e' altro che lo strumento che li fa individuare, che li rende riconoscibili. Eccola un'altra differenza, quella che il lettore coglie. Lo stile e' come la "classe", o ce l'hai o non ce l'hai. Si riconoscono subito i mesterianti. Lo stile e' unico e prezioso, e' il biglietto da visita del talento, e non s'impara. E allora saranno i posteri a stabilire quando un narratore diventa un letterato ma, se manca il talento, lo scrittore non esiste. Io, che sono una narratrice compulsiva, continuo a scrivere storie, le affido al vostro giudizio di lettori e umilmente ringrazio e attendo.

Sed

giovedì 6 settembre 2012