giovedì 16 agosto 2012

IL TRADUTTORE E' IL "DOPPIATORE" DEI LIBRI

Ci riflettevo oggi, rileggendo un mio tweet di ferragosto dove facevo gli auguri a tutti gli "addetti ai lavori" dei libri, tranne a loro, i traduttori (forse peché il mio libro non è stato ancora tradotto, chissà...). E giustamente una gentile traduttrice me l'ha fatto notare. Sono subito corsa ai ripari, ovviamente, e poi ho cominciato a riflettere. In Italia, nonostante tutto, abbiamo delle "eccellenze" nel mondo dell'arte che sono universalmente riconosciute (con alcune eccezioni ma, tant'è, come potremmo distinguere le eccellenze altrimenti?). Ma i distinguo non sono da farsi all'interno del nostro patrimonio culturale, bensì tra ciò che l'Italia offre e ciò che propone il resto del mondo nello stesso ambito. In questo caso, e non mi pare poco, non ce n'è per nessuno. Mi è venuto subito in mente il parallelo tra i traduttori e i doppiatori. Si tratta, fateci caso, di due arti che alcuni considerano minori, di secondo piano, ma senza le quali libri e film di successo non sarebbero tali. Così come il doppiatore è a tutti gli effetti un attore, il traduttore è a tutti gli effetti uno scrittore. Nel mondo del doppiaggio abbiamo una scuola che tutti ci invidiano e a volte penso che alle cerimonie degli Oscar o ai vari premi festivalieri come Venezia o Cannes dovrebbero esserci anche i doppiatori tra i premiati. Penso a un film cult come Blade Runner e al famoso monologo recitato magistralmente da Rutger Hauer:

« Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione,
e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo
come lacrime nella pioggia.

È tempo di morire. »
La meravigliosa voce del doppiatore, che noi tutti conosciamo, è quella di Sandro Iovino. Sapete chi è? Eppure molti di noi hanno solo quella nelle orecchie e nella memoria, e il monologo in questione è ormai un cult anch'esso, come il film da cui è tratto. Ho voluto fare solo un esempio, anche se ce ne sarebbero così tanti da fare (come non pensare a un altro celebre monologo, quello tratto dal film Il Gladiatore, di Ridley Scott, con Massimo Decimo Meridio davanti a Commodo nell'Arena, la cui voce è stata magistralmente prestata da Luca Ward?). La realtà è che se questi stessi film li avessimo visti con i sottotitoli forse, dico forse, non ci sarebbero piaciuti allo stesso modo, anche se restano dei capolavori.

E i traduttori? Cosa c'entrano con i doppiatori? Eppure noi li leggiamo ogni giorno, almeno ogni volta in cui prendiamo in mano un libro non scritto da un italiano. In realtà, pensateci bene, potrebbero propinarci qualsiasi cosa perché, a onor del vero, anche quelli di noi che conoscono a menadito tutte le lingue possibili difficilmente si prendono la briga di andare a leggere i testi originali per verificare correttezza e congruità della traduzione. Il traduttore però è qualcuno di cui ci si deve fidare. Sicuramente ama i libri. Perché ci vuole amore per leggere qualcosa di non scritto da te e cercare di renderne l'essenza con la stessa intensità dell'autore. Quindi il traduttore è anche uno scrittore, che indossa un testo e lo fa suo, e ce lo rende in una lingua nuova, facendosi interprete del pensiero altrui, un filtro con una grande responsabilità. Si perché noi, in Italia, leggiamo ciò che lui scrive, e a volte tradurre uno "slang", un modo di dire, una battuta, lasciandone inalterato il senso autentico, è un esercizio che, credo, può far trascorrere notti insonni. Recentemente ho letto un libro per il quale l'autrice ha vinto il premio Pulitzer. Si tratta di "Il tempo è un bastrado" di Jennifer Egan (ed. Minimumfax). Il traduttore è Matteo Colombo.  

Si tratta di un libro particolare in cui il linguaggio esce fuori prepotente e poderoso, con degli inserti speciali che, se mal interpretati, potrebbero risultare avulsi dal contesto della narrazione. Colombo ha fatto non solo un lavoro egregio, ma un'eccellente ricerca, all'interno della nostra lingua, di ciò che meglio potesse rappresentare la visione psichedelica della Egan. Altro esempio è Sacrè Bleu di Christopher Moore (ed. Elliot) tradotto da Luca Fusari. Moore non è autore facile, considerando il suo linguaggio privo di orpelli e alquanto "libero", per usare un eufemismo, e il rischio di scadere nella volgarità è dietro ogni parola. Fusari è riuscito a rendere invece lo spirito con cui è stato scritto, il linguaggio di un epoca che solo così poteva essere descritta.

Ho voluto scrivere di questo non per farmi perdonare dalla nutrita e corposa schiera di traduttori che l'Italia della Cultura ci offre, ma proprio perché ritengo che la loro Arte sia con la A maiuscola. Me ne accorgo ogni giorno, ogni volta che sfoglio le pagine di un libro che amo e che, sono certa, prima di me hanno sfogliato anche loro, con lo stesso medesimo amore. E con l'incanto.

Sed




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